"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

giovedì 21 dicembre 2023

Dawn of the Nugget: non esiste la carne felice

 Dawn of the Nugget: non esiste la carne felice

di Giulia Barison


A distanza di 23 anni dall'uscita di "Chicken Run", Sam Fell ne dirige il sequel, "Dawn of the Nugget".

Quando uscì il film di Peter Lord e Nick Park avevo solo sei anni, lo amai, ma non ero in grado di capirne il significato più profondo. Lo riguardai durante i primi anni di università, quando ero già vegana da tempo, e capii che si trattava di un film chiaramente schierato contro il sistema dell'allevamento e del profitto sulla pelle degli animali.

Due estati fa lo guardai una terza volta al festival antispecista di Hambach, quando finalmente avevo gli strumenti teorici per rendermi conto che quella messa in atto dalle protagoniste di "Chicken Run" era resistenza animale.

23 anni dopo, "Dawn of the Nugget" mette sì nuovamente in scena quella stessa resistenza, ma fa molto di più.

giovedì 16 settembre 2021

Slow food e gli animali

 Fonte: transelvatike

 


Tra qualche giorno a Bra si svolgerà l’appuntamento di Slow Food dedicato al formaggio: Cheese.

La retorica è sempre la stessa, ma se negli anni precedenti l’accento cadeva sugli immaginari naturali (Cheese 2015 – Alle sorgenti del latte; Cheese 2017 – Stati Generali del latte crudo; Cheese 2019 – Naturale è possibile) quest’anno al centro ci sono gli animali.

Considera gli animali” – ci ordina Slow Food con il suo payoff del 2021.

E chi gli animali non umani li considera davvero rimane un po’ stranitə da questa svolta animalista.

Considera gli animali in che senso?

Slow Food ci risponde subito: “Senza animali non ci sarebbe il latte. Senza animali non ci sarebbero i formaggi. Senza animali non ci sarebbe Cheese. impariamo a rivedere il nostro rapporto con la natura, con gli animali[i].

Fondamentalmente, devo considerare i miei mezzi di produzione, con uno spirito che va a metà tra “abbine cura perché poi si rompono e funzionano male” a “cerca di avere un po’ di gratitudine perché fanno il lavoro gratis”.

giovedì 21 gennaio 2021

Un punto di vista antispecista sulle capre appartenute ad Agitu Ideo Gudeta


 

da Global Project

Pubblichiamo di seguito un testo scritto da una compagna del centro sociale Bruno di Trento che, attraverso gli strumenti di lettura dell'antispecismo, pone una riflessione in merito alle capre appartenute ad Agitu Ideo Gudeta. Questo testo vuole portare un punto di vista diverso e contemporaneamente stimolare un dibattito sui temi dinnanzi ai quali ci pone l'antispecismo.

 

Nell’Italia sessista e razzista dei giorni nostri, dove una donna in quanto donna viene uccisa con metodica regolarità una volta ogni tre giorni, e dove le morti nel Mediterraneo dellə disperatə in fuga da guerra e povertà nemmeno vengono più conteggiate, capita talvolta che un particolare fatto di cronaca riesca in breve tempo a tracimare dalla stampa locale e a scalare la classifica delle notizie tanto da diventare virale su tutti i mezzi di comunicazione, travalicando anche i confini nazionali. Che si tratti di razzismo o di sessismo poco importa, ci sono sempre “vittime ideali”, quelle della cui morte violenta i media si impegnano a raccontare ogni dettaglio, con inquietante dovizia di particolari e sulle quali l’opinione pubblica del “bar sport-Italia” ha sempre qualcosa da commentare.

L’orrendo femminicidio di cui è stata vittima Agitu Ideo Gudeta è diventato nel giro di poche ore uno di questi casi, e così stampa, TV e in particolare certi bassifondi dei social network si sono sperticati in ogni genere di sproloqui e narrazioni tossiche a 360 gradi. Da un lato le più becere narrazioni razziste dove, una volta identificato il responsabile, non si è esitato a esprimersi rispetto all’omicida nei termini di “bestia ghanese” o a gongolare del fatto che quello che in un primo momento si sospettava essere un delitto di matrice razziale era invece una storia di “africani che si ammazzano tra loro”. Dall’altro una narrazione più sottilmente razzista, ovvero quella dell’elogio a reti unificate della memoria del deserving migrant[1] in opposizione alla condanna unanime dell'(altro)immigrato - da subito identificato come “clandestino” - evidentemente colpevole di non essere riuscito “ad integrarsi” quel tanto che basta ad allontanarsi dagli “incivili usi e costumi” tipici del suo continente di origine. 

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venerdì 1 maggio 2020

La bio-violenza ai tempi del Covid

Una copertina della rivista Farm Journal's Pork. Nell'immagine, in primo piano un allevatore sorridente tiene in braccio un cucciolo di maiale; davanti, la scritta "Speak out".
Farm Journal's Pork (una copertina)

La bio-violenza ai tempi del COVID-19 è un’idea semplice e raggelante, un ossimoro che se pronunciato avrebbe le parole “Ti amo, perciò ti ammazzo”.
È un’idea onnipresente, che attraversa tutti i settori dello sfruttamento.

Ci sono gli zoo e le “drastiche e più drammatiche decisioni” minacciate dallo zoo di Pombia, qualora i visitatori non avessero supportato il Safari Park con l’acquisto di biglietti da usare in un futuro indefinito. Questo ovviamente perché loro amano gli animali. E quindi possono anche ammazzarli.
Ancora più sincero è l’amore dello zoo di Neumster, in Germania, che ipotizza di uccidere alcuni animali per sfamarne altri. I primi a morire, in caso, sarebbero cervi e capre.
Poi ci sono i circhi, che per troppo amore se la prendono con gli animalisti che non stanno aiutando i loro animali ora, nel momento nel vero bisogno. Non importa che ci siano realtà non a scopo di lucro, come i canili e i rifugi, che sono anch’esse allo stremo e a cui questi animalisti magari danno il loro supporto. L’amore rende ciechi e fa sembrare logico che un animalista debba fornire i mezzi a un oppressore per continuare a mantenere… il suo amore. 

giovedì 20 giugno 2019

Senza piume, senza corna, senza senso: le nuove frontiere della carne felice

Elisa Valenti

mucca nanaIl paradigma della carne felice, che ha visto la sua massima diffusione nell’ultimo decennio, nasce per rassicurare il disagio di quanti, di fronte all’esistenza degli allevamenti intensivi, si interrogano sull’eticità di sottoporre altri esseri senzienti a terribili condizioni di reclusione e sfruttamento e sulla sostenibilità ecologica di queste strutture.
La bio-violenza della prima ora ha risposto a queste critiche proponendo dei modelli di produzione bucolici, che evocassero la tradizione e un passato idealizzato. I simboli di questa narrativa sono la vecchia fattoria familiare, il contadino “di una volta” e animali liberi di scorrazzare per la campagna.
Proprio perché questo passato “premoderno” è sconosciuto al cittadino occidentale medio, esso è risultato affascinante ed è parso una risposta credibile a quanti, antropocentricamente, non hanno mai messo in dubbio lo status degli animali come proprietà.
La bio-violenza delle origini, quindi, con un gesto solo apparentemente rivoluzionario, ha concesso che gli animali fossero individui (e non più oggetti), ma non ha mai messo in dubbio che la loro sorte potesse essere discussa e decisa al di fuori delle scelte individuali di consumo.
Nel tempo, la narrativa sul benessere animale e sulla sostenibilità degli allevamenti si è arricchita di nuovi contributi, molti dei quali si ascrivono al ruolo sacrale che la tecnologia riveste nel legittimare il capitalismo.
Si è quindi approdati ad una bio-violenza 2.0, dove la sostenibilità e il benessere animale sono raggiungibili in un modo ancora più ideologicamente allineato, ovvero attribuendo alla specie umana ancora maggiori diritti di controllo e manipolazione sui corpi degli animali non umani.
In questo articolo si affrontano quindi, seppur in modo non esaustivo, alcune delle novità che l’industria ha proposto o introdotto per rispondere alle pressioni sul benessere animale e sulla sostenibilità ambientale e che dovrebbero essere da monito per quanti credono che gli argomenti indiretti possano portare alla liberazione animale o che producano effettivo progresso!

lunedì 7 gennaio 2019

Cinquanta sfumature di schifo



"Mangiare carne è qualcosa che fai al corpo di qualcun altro senza il suo consenso"
(pattrice jones) 

Già nel 2006, il blog Suicide Food aveva iniziato a raccontare lo specismo attraverso le immagini di animali che desideravano essere mangiati: anatre così gustose da volersi assaggiare, mucche che si affettano per fare delle bistecche, maiali che desiderano essere kosher per poter essere mangiati anche dagli ebrei. 
Tra queste vittime in cerca di carnefici si distingue una categoria particolare: gli animali che seducono. Animali rappresentati sempre in modo femminile, che con sguardi e posizioni provocanti cercano di essere sessualmente attraenti per invitare anche il commensale più restio a cedere alla tentazione di mangiare. In pieno accordo con la cultura dello stupro, è la vittima che, con i suoi atteggiamenti, vuole essere soggiogata.

Fonte: http://suicidefood.blogspot.com/


giovedì 24 maggio 2018

Quando l’orrore è solo una questione di forma





Commento al video realizzato da Free John Doe, mandato in onda il 20/5/2018 da Le Iene.

Link al servizio televisivo: facebook.com/SeiVeganoSe/videos/2001078316873949/ (fino al 22/5/2018 era sulla pagina de Le Iene, ma è stato rimosso).

Le immagini mostrano la brutalità quotidiana del luogo in cui ci troviamo; le inquadrature riprendono occhi, tremori, tumefazioni, deiezioni, agonie ignorate. L’audio capta urla stridenti, che coprono i respiri affannosi di chi sta morendo in solitudine.
La voce fuori campo elenca una serie di dati e numeri: antibiotici somministrati preventivamente, per evitare epidemie; topi - quegli untori! -, che, andando a nutrirsi nei capannoni industriali, sono additati come portatori di malattie trasmissibili ANCHE all’Uomo, nel momento stesso in cui  ingerirà quei corpi macellati.

L’intervistatrice parla (con esperti, impiegati nell’allevamento, NAS, ecc.) del buco dell’ozono, sporcizia, “benessere animale”, alimentazione … Nessuna parola, non una, proprio nessuna, viene spesa sul sistema istituzionalizzato di sterminio che tutt* stanno vedendo, in quello stesso preciso istante, con i loro occhi.
Finché si continuerà a parlare dei benefici che l’umano potrebbe ottenere grazie alla diminuzione del consumo alimentare di “carne”, finché continueremo a trattare gli altri animali come “comparse” anziché come  “protagonisti” della lotta di liberazione animale, continueremo anche a diffondere la favola della “carne felice”, un discorso vecchio e già “industrializzato” da Farinetti & Co. (leggi, p. es., bioviolenza.blogspot.it/2017/10/27-ottobre-milano-presidio-contro-il.html).

Il sistema ci ha addomesticat* al dolore altrui, tanto da renderci incapaci di schierarci dalla parte di chi è sfruttato, maltrattato, ucciso, e di ripetere invece le parole d’ordine del dominatore, che ha fatto della morte altrui un business!
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, …” Ogni nove il decimo muore.
I nazisti usavano questo metodo per eliminare i corpi animalizzati. Anche lì, quello era solo il decimo: “Shit!” (“Merda!”). 
Nel commento a questo video, il messaggio che passa non sono certo le ragioni a favore dell’autodeterminazione di ogni individuo. Ciò che passa è solo che uno su dieci muore, così, senza una ragione, solo perché è l’anello più debole della catena. Come la bambina palestinese di 8 mesi morta perché nata dalla parte sbagliata di un muro, di una linea di confine.